Sull’immodificabilità dei tratti in grafologia: la scrittura come il ritratto di Dorian Grey.

Si cambia, si cresce e si invecchia, ma non si ringiovanisce. Ancora una volta, la grafologia come spia di evoluzione.

 di Francesco Faiello 

"Com'è tragico" mormorò Dorian Gray con gli occhi fissi sul suo ritratto "com'è tragico! Io diventerò vecchio, brutto, ripugnante. E questa immagine rimarrà sempre giovane. Giovane quale io sono in questa giornata di Giugno. Oh, se si potesse realizzare il contrario! Se io dovessi rimanere sempre giovane, e il ritratto diventasse vecchio! Per questo, per questo, darei qualunque cosa! Darei la cosa più preziosa del mondo! Darei anche la mia anima per questo!".

Si può restare sempre giovani anche col trascorrere del tempo? Se lo è chiesto Oscar Wilde mettendo al centro del dibattito sociale, nella Londra agiata di fine Ottocento, il tema della corruzione morale in maniera alquanto provocatoria per la borghesia del tempo.

Dorian, il protagonista del romanzo, aveva riposto il suo ritratto in soffitta e lo aveva lasciato ad invecchiare al posto suo. Questi, consapevole della sua bellezza e della perdurabile giovinezza, si dedicava alla sua vita edonistica credendosi immortale e, soprattutto, immune alle lacerazioni del tempo.

Si dice che non si scrive con la penna, ma col cuore.

Il processo è sempre lo stesso: in primis, il gesto grafico si riproduce ogni volta rispettando i comandi dati dagli impulsi; poi, il cervello, ovvero la ratione materia, interviene per fare in modo che i comandi più sanguigni ed interiori vengano addomesticati, a seconda dei casi, nel profilo più consono all’immagine che vuol dare di sé.

Dinamiche a parte, ciò che veramente colpisce è l’imprinting, ovvero l’abitudine grafo- motoria, che si manifesta sempre uguale per il soggetto scrivente come vero e proprio marchio di fabbrica, anche a distanza di anni.

Invecchia la pelle, infatti, invecchia l’intelligenza, invecchia il dato motorio ma non anche l’abitudine e la propensione ad affrontare il processo grafico. Da qui l’immodificabilità, relativa naturalmente, della scrittura.

E della immodificabilità, il movimento e i piccoli segni - ovvero due dei pilastri della metodologia francese - ne rappresentano i corollari.

Ciò che difatti impressiona è l’imperterrita somiglianza, nel tempo, all’espressione grafica che ogni volta si riproduce che trova agio e sfogo sempre attraverso i medesimi connotati dinamici.

Movimento e piccoli segni sono insieme e sotto insieme del medesimo processo: l’uno va considerato come il genus, l’altro la species.

Dicasi “piccoli segni” quei tratti apparentemente impercettibili che sfuggono all’attenzione dello scrivente e che si ripropongono ogni volta che il soggetto si trova ad esprimere la propria identità grafica. Ebbene, rispetto al movimento vero e proprio ed inteso come approccio generico, questi elementi vanno riferiti come fattori insiti e particolari, probabilmente ancor più veritieri perché rappresentano una “spia” sempre attendibile. Si pensi, ad esempio, alle barre delle “T” ed al modo di comporle, oppure alla gestualità ricorrente nell’imprimere un puntino sulla “i” o, ancora, agli start cioè i punti di avvio nella composizione morfologica di un parametro alfabetico ed a quelle laison e ricombinazioni tra una lettera ed un’altra o all’interno della stessa lettera.

Questi particolari visivi e sostanziali, allora, appartengono - più degli altri - al patrimonio grafico di un soggetto, ovvero formano un complesso di appendici logiche e strutturali che si pongono in una posizione di perduranza nel tempo, nonostante la perdita della tipica agilità dinamica degli anni della gioventù.

Se una persona invecchia, insomma, cambia strutturalmente poco: il movimento è lo stesso perché uguali sono le abitudini a muoversi in un campo grafico attraverso l’ausilio del braccio, dell’avanbraccio e di tutti quei fattori psico- motori che coordinano le particolari dinamiche.

Ciò che cambia è la relazione con gli anni addietro: è chiaro, difatti, che il processo scrittoreo non risulterà mai espletato secondo la tipica agilità motrice e l’andamento audace di chi ha forze ed energie.

“L’unico fascino del passato è che è passato” allora, esclamerebbe Oscar Wilde perché la vera giovinezza, intesa grafologicamente come forza motrice e propulsiva di agire e di incidere scritturalmente con facilità e labilità dinamica, chiaramente con l’incedere dell’età si perde: e la tetanizzazione e la secchezza dei tratti sono la cartina di tornasole dell’irrigidimento motorio.

“La tragedia della vecchiaia non sta nel fatto di essere vecchi ma in quello di essere giovani”.

Se l’elemento della vecchiaia lo si considera, allora, foriero di maturità e di saggezza, si finisce per accettare ogni dato anagrafico (e grafologico) con serenità. È questo l’unico insindacabile corollario di chi ha amato la propria vita e vuole apprezzarla, da anziano, come un lungo percorso che lo ha portato ad un traguardo.

È inutile forzarsi di non invecchiare, anagraficamente e grafologicamente, se si è fieri di essere quello che si è. Del resto, lo diceva anche Wilde: “per riavere la propria giovinezza, basta ripetere le proprie follie”.