Il caso Pamela Reynolds: non era suicidio. Lo dice la Grafologia.

Dalle lettere ritrovate emergono tratti completamente in antitesi con quelli che potrebbero essere attribuiti ad una debacle interiore. 

di Francesco Faiello

Capri, 1935. La vita scorre apparentemente serena, tra scogliere, panorami e scorci mozzafiato da cui ancora non si contempla l’ineluttabile prossimo conflitto armato.

Da un lato, il Manifesto della razza ed i suoi diktat che professano purezza e superiorità rispetto al resto del mondo; da un altro, la paura di dovere fronteggiare insulse propagande e, più di ogni cosa, pericolosi attacchi nemici. Nel bel mezzo di questa contrapposizione: un mondo che ancora non sa cosa gli aspetta. I salotti buoni dell’élite si danno ad ammiccamenti politici ed imbevono le proprie conversazioni di simpatie culturali patteggiando per l’uno o l’altro artista in voga, mentre muovono istintivamente i piedi al ritmo del tip tap emulando Ginger e Fred ed ascoltano la radio che trasmette allegre sinfonie che distolgono l’attenzione dalla imminente barbarie.

Anche Pamela amava ballare e la sua leggiadria le consentiva di sedurre più e più uomini, mentre recitava struggenti poesie e muoveva il gonnellino a ritmo di Charleston. Aveva vent’anni o poco più, Pamela, quando fu ritrovata al largo della “rupe di Orrico”, poco distante dalla tenuta della sua famiglia, facoltosi intellettuali inglesi che da circa mezzo secolo avevano scelto l’isola azzurra come posto ideale per la propria dimora.

Pamela era diventata un punto di riferimento del panorama intellettuale dell’Isola; era amica di Curzio Malaparte, di Benedetto Croce, di Edwin Cerio, che fu Sindaco di Capri per molti anni, degli industriali degli armamenti Krupp, di Galeazzo Ciano, di Edda Mussolini ed altri personaggi illustri del tempo.

Le associazioni culturali britanniche a Capri, del resto, erano fiorite da quando l’isola napoletana divenne, dalla fine del Settecento, a tutti gli effetti, avamposto di “Sua Maestá britannica”. E allora la summa della cultura europea era solita ritrovarsi al largo dei faraglioni, accrescendo la sostanza di quello stesso humus culturale di cui si nutrì Pamela fin dall’infanzia e che, tramite le illustri conoscenze, seppe riproporre sotto forma delle espressioni del proprio pensiero talvolta, in dissonanza coi poteri forti, col prestigio dei regimi dell’epoca che svuotavano di democrazia e dibattito ogni luogo ad esso deputato.

Una mattina, il suo cadavere fu ritrovato da un pescatore che ad un giornalista di cronaca locale dichiarò che “era ancor più bella da morta che da viva”. La Polizia politica subito intervenne per aprire e chiudere un caso che minacciava storie di misteri sfatati o polemiche socio politiche che il Regime non voleva nemmeno sentire. Il caso fu spietatamente archiviato con “suicidio” e, immediatamente, si passò alla sepoltura del cadavere della giovane.

Analizzati i referti delle lettere indirizzate al padre ed a Edwin Cerio che, fino poco prima della propria morte, conservò i cimeli delle missive dedicate all’intenso rapporto ufficialmente amichevole con la giovane, emerge una “autopsia grafologica e grafo peritale” che disegna la figura di una ragazza dai principi ideali molto forti e curiosità estrema. Quella di Pamela è una scrittura profonda e legata da collegamenti letterali ed inter letterali ingegnosi che rispecchiano una capacità di interloquire graziosamente rispettando le distanze ideali dall’interlocutore, oltre che una propensione molto forte all’ascolto e all’attenzione. Nelle lettere redatte nell’ultimo periodo queste caratteristiche si mantengono inalterate ma, tuttavia, compare una preoccupazione per ipotizzate o reali minacce esterne, individuata in un’improvvisa comparsa di tracciamenti anchilosati che occlude (o condiziona) una scrittura invece spontaneamente e naturalmente ariosa e armonica.

Più che di suicidio, dunque, è giusto discorrere di ciò che ha posto freno, ad un certo punto, all’entusiasmo grafico di Pamela, ciò che le ha impedito di esprimersi, anche nell’ultimo periodo di vita, con la sua congeniale serenità espressiva. Quale è stata la forza che ha soverchiato l’esistenza della giovane donna? Chi ha gettato Pamela dal burrone? Come ha fatto il corpo a non sfracellarsi nei massi aguzzi prima di percorrere in orizzontale la distanza notevole tra la rupe e il mare?

Non si parla di suicidio nemmeno per sogno, insomma, nel libro di Antonio Corbisiero che ha dato alta dignità all’indagine grafo- peritale e criminologica, né la astrusa artefatta teoria viene riproposta nel film che presto verrà prodotto (si vocifera di Cristiana Capotondi nel ruolo della protagonista).

A distanza di novanta anni, il caso Reynolds ancora attende giustizia e saranno la storia e la sensibilità del nostro mondo a restituire il corretto epilogo ad un episodio di tragica fine.

Per chi crede nel vero, nel giusto e nell’ideale:

Pamela non muore, Pamela ancora vive.