Il buono, il brutto e il cattivo: lo sviluppo del gesto grafico nell’analisi peritale.

L’ampia terminologia dell’indagine e le mille sfumature dal significato vivace o oscuro.

di Francesco Faiello

“Non basta una corda a fare un impiccato” sentenzia il cattivo della pellicola di Sergio Leone, allorquando si accorge del redditizio escamotage messo a punto dal buono e dal brutto. “Che vuol dire?” gli domandano. “Che anche uno straccione ha un angelo biondo che veglia su di lui” risponde, dando ad intendere il reale scopo del colpo, puntualmente sparato alla corda del cappio, per fuggire da ogni preordinata esecuzione ed incassare, dividendo equamente, la taglia.
Ebbene, parafrasando, “non basta un indizio per fare una prova” si sentenzierà, nel caso dell’indagine grafo- peritale, girando la pellicola di un film che racconta di chi simula o dissimula. Ed, infatti, se si interpreta la finzione grafica come una fuga dalla realtà, è chiaro che alterare, o provare ad alterare, la spontaneità grafica equivale a proiettare un intreccio ogni volta diverso, a seconda degli interessi in campo che si hanno o che si pretende di avere. La versione dei fatti, del resto, è materiale di giudizio su cui interviene il diritto e l’applicazione delle istituzioni o delle procedure che gli sono proprie. Ai posteri l’ardua sentenza. Anzi: sono i vivi, magari anche nell’interesse dei posteri, ad aspirare ad una sentenza favorevole per affari relativi alle disposizioni dei defunti.
“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto” svela il gioco di peso proposto da parte di chi evidenzia maggiori risorse nei confronti di chi o ne ha di meno o non ne ha affatto. Avere una grande arma a disposizione, ovvero più argomentazioni, ampio sostegno di basi tecniche o giuridico- fattuali, vuol dire avere, contrariis reiectis, varie probabilità di vittoria, rispetto a chi si mostra sterile di tematiche o pretestuoso nelle ricostruzioni. E allora non esiterà a rimpinguare le molteplici trattazioni attraverso validi spunti che risulteranno difficili da riscontrare per chi non ha, o stenta ad avere, un patrimonio di ragioni cui attingere per difendere la propria causa.
Nel quadro dell’analisi grafica, però, nulla è garantito. Anche la più valida delle motivazioni tecniche può essere ampiamente messa in crisi, se il CTU o il Giudice non è in grado di discernere il vero dal falso, ovvero quell’insieme di considerazioni tecniche o giuridiche che stanno alla base delle tesi delle parti. Solo la competenza, oltre che lo sguardo attento e metodico, possono costituire l’unico reale ausilio alla corretta individuazione tematica.
“Vedi, il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica, e chi scava”. E, solo scavando, dunque, il CTU può concentrarsi sulla reale portata del quesito, cogliere il senso delle narrazioni di parte, eliminare i pleonasmi argomentativi, concentrarsi sul nodo della vicenda, percepire l’intento sincero o alterato della mano scrivente e confezionare una corretta esposizione logica finalizzata a rendere un corretto riscontro alla domanda del Tribunale. In tal senso, attraverso la ricerca ed il lavoro d’ufficio, ogni pistola, pur carica di argomentazioni, se futili, sbaglierà mira ed il proiettile cadrà nel vuoto. Però bisogna scavare, e scavare a fondo.
Ciascun soggetto ha una specifica grafo - motricità che viene liberata dalle tensioni interiori tra loro interdipendenti e dirette a produrre un movimento di ordine vitale. Del resto, “il processo di canalizzazione delle energie non avviene in modo meccanico ed identico per tutti, ma dipende dalla costituzione individuale perché non sono soltanto le pulsioni a mettere in funzione il meccanismo psichico, ma intervengono, e in modo ancor più decisivo, i fattori temperamentali che stabiliscono la caratterizzazione personale di ogni movimento dell’uomo e lo fanno vedere in ogni sua attività espressiva” (Torbidoni, Zanin 1978). In buona sostanza, per parlare di spontaneità, si richiede che “il processo di canalizzazione delle energie avvenga senza inibizioni ed ostentazioni, ma secondo la specifica natura del soggetto scrivente”.
In ambito peritale, insomma, si sottolinea che è spontanea la grafia che rivela, senza alterazioni, la specifica natura interiore dello scrivente. Si considera spontaneo il grafismo che contiene gli elementi temperamentali che costituiscono la natura grafo motoria del soggetto, così come questi sono espressi con naturalezza di manifestazione, di ritmi esecutivi, di pause e riprese, di movimenti dimensionali e direzionali dei tratti, di inclinazione e di direzioni assiali, di legamenti, di coesione, di assetto, di strutturazione degli engrammi fisiologici, di distribuzione della forza pressoria, di gesti specifici e fuggitivi.
La manifestazione del gesto grafico deve avere una connotazione pienamente personale che serva di sicura identificazione. Pertanto, è necessario che esso non sia inibito né dall’interno, né dall’esterno, perché in caso di controllo della scrittura, rimane sotto il dominio della coscienza e della volontà, per quanto riguarda sia l’atto esecutivo che le sue modalità (Galeazzi, 1977). La spontaneità, in senso peritale, allora, sta proprio nella naturalezza con la quale il soggetto rivela sé stesso, senza alcun tentativo di modificare volontariamente la propria grafia ed occultarsi.
“Quando si spara si spara, non si parla” è come a dire che quando si scrive, si scrive e non ci si distrae: questo è l’apporto di concentrazione esclusiva verso la meta analitica della spontaneità grafica. Spontaneità che si attiva fin dalla fase impulsiva ovvero a cominciare dalla funzione dei centri motori dell’area corticale che partono dal cervello ed arrivano sino alla mano ed alle dita. Gli impulsi assumono modulazioni soggettivamente differenziate, tali da diventare uniche nella loro modalità individuale ed irripetibili in altre persone.
Il buono però può sporcarsi, contaminarsi di significati vari qualora si decida di camuffare la realtà o di sviarla per logiche ed interessi diversi da quelli apparenti. Chiaramente: se il buono cessa di fare il buono, abdica ad una scala di valori cui si rifaceva e diventa, per sua scelta consapevole, brutto. Comincia, infatti, il nascondimento della realtà interiore e la conseguente falsificazione della realtà esteriore, ovvero l’attuazione di modalità di copertura della autentica manifestazione di sé attraverso maniere celate per nascondere agli altri il vero pensiero e le reali finalità. Chi vuole ingannare preordina la propria gestualità, camuffandone i tratti maggiormente significativi, sviandone le apparenze. In particolare comincia una fase di studio che contempla una variazione di quanti più segni è possibile variare, concentrando, inconsciamente, l’attenzione sulla ampiezza e la conformazione delle iniziali nonché sulla modifica della continuità esecutiva, della pressione, della velocità e della inclinazione. Sono gli elementi maggiormente esteriori, dunque, che vengono cambiati in nome di un preteso camuffamento che vuole porsi come reale. Peraltro è utile sapere che al variare di una componente, varia anche l’altra. Ecco le variazioni cd. concomitanti della scrittura studiate da Klages: energie (la forza pressoria), la velocità (accelerazione e rallentamento) e le ampiezze (dimensione verticale, rapporti dimensionali e distribuzione dello scritto) sono le tre componenti derivate dal movimento. L'attento consulente avrà, dunque, potere di individuazione dell’opera dissimulata anche attraverso il rilievo e l’osservazione derivata dal citato corollario, ben sapendo, peraltro, che più la grafia è evoluta, caratterizzata da elementi altamente individualizzanti, maggiore sarà lo sforzo che il soggetto dovrà applicare nella dissimulazione per liberarsi dei propri automatismi.
Spesso la maschera inganna. “Dio non è con noi, perché anche lui ama gli imbecilli”. Ed, infatti: gli imbecilli o comunque tutti coloro che, in maniera volontaria, cosciente e consapevole, manomettono la realtà sono tante volte aiutati dallo sguardo superficiale del CTU che si fida degli elementi esteriori, senza riuscire a penetrare l’essenza, ovvero la sostanza del grafismo indicato. Solo l’accorto ausiliare sa che non deve fidarsi del brutto, ovvero di quel gesto grafico che vuol farsi diverso ma che, a ben vedere, è dello stesso tema, della stessa fattezza di quello posto in comparazione. Come fare? Esistono i cd. piccoli segni, ovvero quei tratti apparentemente impercettibili che sfuggono alla attenzione dello scrivente o anche le modalità generali relative all’assetto grafico- spaziale. Qui l’interpretazione (o l’intuito) del professionista non può sbagliare, perché attraverso l’individuazione delle rationes viene svelato l’approccio reale, senza contorsioni grafiche proposte dalla realtà dissimulata.
“… il collo dentro la corda è il mio, sono io che rischio, perciò la prossima volta voglio più della metà”
“Sì, è vero che tu rischi. Ma io taglio e se tu mi abbassi la percentuale... sigaro? ... potrei sbagliare la mira”. In effetti: chi imita, rischia terribilmente. E solo i cattivi, quelli che ne sanno una in più del diavolo, certi del risultato, osano farlo. Gli altri non azzardano.
Se risulta difficile tentare di uscire dalle tracce che il proprio io grafico rilascia, arduo è provare a riprodurre gli automatismi di un altro, ritraendone analogamente gli elementi esteriori. In particolare la vera scommessa è scomposta in due fasi: la prima, uscire dal proprio automatismo; la seconda, entrare nella gestualità della persona imitata. Il consulente sa che il sistema neuromuscolare utilizzato non consentirà per intero di distaccarsi dall’automatismo ed entrare in un altro e che, per l’effetto, sul foglio, l’imitatore lascerà tracce autentiche del proprio grafismo oltre che effetti simulanti il grafismo di un altro.
Gli effetti di tale tentativo sono molteplici perché riguardano non solo la fase dell’esecuzione delle singole strutture grafiche, ma anche quella della esecuzione del movimento scrittoreo. Il tentativo di uscire dal proprio ruolo grafico riesce in proporzione diretta alla spersonalizzazione del gesto ed in proporzione alla speditezza del movimento muscolare, dunque scritturale di chi si imita.
Casi di scuola vantano vari tipi di imitazione: per lucido, ponendo lo scritto al di sopra di una fonte luminosa; imitazione guidata, creando una guida formata da piccoli puntini, poi uniti; per trasferimento, attraverso l’ausilio della carta carbone; pedissequa, in cui l’occhio si divide tra la grafia da imitare e quella che si sta vergando; a mano libera, realizzata con un costante allenamento a realizzare il falso; per copia, fotocopiando la sottoscrizione e ponendola al di sotto dello scritto;
Da quanto emerge, l’imitazione non è opera facile: in particolare non lo sarà per chi, con un basso livello di scolarizzazione ed una conseguente bassa abilità grafo- motoria, dovrà emulare la grafia di chi, invece, possiede un’alta abilità motoria ed un diverso patrimonio scrittoreo.
“Vado, l'ammazzo e torno”, per le leggi del west può bastare, ma, in fatto di imitazione, dunque, non è un assunto scontato. Occorre pazienza, arguzia, capacità osservativa e poi imitativa- esecutiva per mettere in atto correttamente temi grafici soddisfacenti dal punto di vista della corretta riproduzione. E il perito, dunque, dovrà essere sufficientemente dotato di attenzione ed illuminante sguardo per potere scorgere, scritture comparative alla mano, i reali tratti distintivi, individuandone opportunamente rationes e differenze.
Buono, brutto e cattivo, dunque, sotto l’aspetto grafico e peritale.
Spontaneità, dissimulazione e imitazione, dal punto di vista cinematografico.
Un chiasmo retorico che, appunto, si incontra esattamente nel punto narrativo di storie reali o artefatte che si vuole raccontare concentrando l’aspetto sul dato grafico che si propone.
Non lasciarsi ingannare mai e, come i personaggi di un western, occorre diffidare di tutto e di tutti: anche il gesto grafico più prossimo a quello reale potrebbe rischiare di trarre in inganno. Il consulente deve porsi nella condizione di operare al meglio, ponendo anche domande a sé stesso ed al proprio operato che, necessariamente, deve essere in grado di soddisfare il giudice e le parti, anche dal punto di vista degli elementi apportati per suffragare una tesi. Del resto, “le domande non sono mai indiscrete. Le risposte a volte lo sono”.