Grafologia e musica: gli autoritratti dei Beatles

Gli autografi dei quattro ragazzi di Liverpool che hanno cambiato il mondo.

di Francesco Faiello 


“Ricordo vagamente i miei giorni di scuola: erano quello che succedeva sullo sfondo mentre cercavo di ascoltare i Beatles” è la celeberrima citazione di Duoglas Adams, l’autore de “Guida galattica per autostoppisti”, il famoso romanzo in cui i protagonisti fanno spesso riferimento ad una specie di enciclopedia, la Guida Galattica, appunto, che fornisce loro suggerimenti - spesso bizzarri - su "la vita, l'universo e tutto quanto".
L’estro e l’ingegno dei Beatles è il manifesto di un’epoca che suona canzoni- scanzonate per amore, gioia, pace e sogni.
I Fab Four non avrebbero mai immaginato di diventare icone per eccellenza anche per gli anni a seguire e che dei loro testi se ne fossero simbolicamente serviti i giovani di tutto il mondo per vincere ogni tipo di resistenza e di ingiustizia. “La musica è proprietà di tutti” diceva John Lennon, del resto “sono solo gli editori che pensano che la gente possa possederla.”
Ed in nome di una imperterrita voglia di regalare musica e, con essa, i sogni e la sensazione di libertà che le solo le note donano, i Beatles decisero di dedicare un concerto ai fans sul tetto del palazzo in 3 Savile Row, a Londra. Correva il 1969, era precisamente la mattina del 30 Gennaio, e i quattro avevano già deciso di sciogliere il sodalizio artistico. Nel Settembre dello stesso anno composero ancora Abbey Road, poi, insieme, null’altro.
Nel frattempo, le loro tournee facevano registrare il sold out ovunque e in appena dieci anni di attività i Beatles erano già sul tetto del mondo a dedicare autografi.
L’autografo, si sa, è il gesto artistico per eccellenza, ovvero la firma apposta dalla celebrità (calciatore, musicista, attore …) in maniera veloce e spontanea.
Nell’autografo si riversano tutte le caratteristiche grafologiche dell’ingegnosità e dell’originalità: all’artista, infatti, è socialmente consentito essere sui generis e, così, graficamente riproduce il proprio gesto, sovente, con dei connotati scrittorei che si pongono lontano da ogni veste formale.
Paraffi, occlusioni, sottolineature, abbellimenti sono i tipici elementi grafici che ritornano nell’autografo.
Anche negli autografi dei Beatles i riferimenti grafici non sono di certo essenziali: ognuno pare segnare l’album con una vistosa originalità e senza alcun timore di fuoriuscire dai canoni alfabetici morfologicamente contenuti nei diktat scolastici. Anzi. Quattro autografi, quattro modi (o mondi) di vivere il successo.
Ringo Starr nel suo autoritratto grafico disegnava una stellina, provocatoriamente lasciata per richiamare il proprio cognome (“star” con una “r” in inglese, è noto, vuol dire “stella”). La sua sottolineatura rivela, grafologicamente, la difficoltà di scrollarsi di dosso l’etichetta di “Beatle triste” e la grandissima voglia di emergere per mettersi al pari dei suoi colleghi decisamente più popolari.
La posizione centrale dell’autografo di George Harrison apposto sulla copia del disco è sintomatica del ruolo nel complesso dell’artista non certamente marginale e la sua smania di imporsi. Harrison infatti fu il chitarrista solista del gruppo e anche cantante. La voglia di smuovere i ritmi poveri dello skiffle, del resto, e di dare alla chitarra un ruolo più predominante nei fraseggi del rock furono fondamentali per l'evoluzione musicale della band.
Paul Mc Cartney era sicuramente quello che meglio viveva il successo e l’ascendenza netta del suo segno grafico lo dimostra senza dubbio. Tra l’altro il fuggitivo gesto conclusivo di prolungare la finale concerne un senso di maggiore agio ed aspettative di conservare la fama (personale, non solo di gruppo). Non è un caso, del resto, che, tra i quattro, Paul fu il primo a mettere in crisi l’esistenza dei Beatles, cominciando a lavorare da solo, lasciandosi coinvolgere in emergenti progetti artistici che non contemplavano più l’esistenza corale.
Tra i quattro, comunque, brillava John Lennon, il paladino dei sogni: l’ariosità della sua scrittura indica voglia di dialogo, di amicizia e di amore per l’altro. La larghezza tra lettere è, infatti, il segno della generosità, intellettiva e affettiva, proprio di chi non è egoista e che, anzi, cerca di conciliare i propri bisogni con quelli altrui. John era una persona che dava molto spazio, cercava sempre il dialogo, credeva nell’amicizia e nell’amore. Non era per niente narcisista, perché il suo sguardo non era rivolto a sé, ma a chi gli stava di fronte. Comunicava coi suoi testi in maniera semplice e spontanea, perché il suo obiettivo era quello di farsi capire e di relazionarsi con l’altro, non quello di apparire erudito e ricercato nel linguaggio.
Quel che resta è un grandissimo patrimonio culturale che i Beatles ci hanno lasciato, con gli inni volti al mondo intero e ad un’epoca ancora troppo schierata per riconoscere le istanze più deboli.
Non era solo musica, ma tutta una grandissima lezione mediatica che ha segnato la storia contemporanea.
La copertina di Beatles VI è un’allegoria visiva: i quattro ragazzi che vengono delle periferie inglesi che, insieme, uniscono le proprie energie facendo convergere le mani in un sol punto.
“- Papà, gli scarafaggi vivono soli o in gruppo? E se vivono in gruppo cosa fanno?
- I Beatles.” (dal film “Mi chiamo Sam).

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