Grafologia e diritto penale: avvocati, grafologi, criminologi e criminalisti sulla scena del reato.

Menti criminali e scienziati del delitto stretti nella morsa della identificazione e del riconoscimento del misfatto. Quali i limiti, quali le certezze?


di Andrea e Francesco Faiello


Un’atmosfera poliziesca cala sulla scrittura.

In lontananza nel buio, una volante ad alta velocità anticipata da una sirena.

La Scientifica è già sul posto, ha segnalato e perimetrato il luogo del crimine.

Transenne, nastri delimitanti e tracce di gessetto; uomini in tuta di protezione e mascherina sterile. Ogni movimento viene pesato: c’è il rischio che la scena del crimine venga inquinata e non sono ammesse distrazioni o infiltrazioni, finanche provenienti da sguardi dei curiosi. Non c’è scampo per fughe di notizie o dettagli che possono rivelarsi dirimenti. Ogni cosa è volta ad un unico novero di domande: chi è il colpevole?

E poi, che scrittura ha? Restando nel nostro campo: la grafia criminale esiste per davvero?

A ciascuno il proprio tema, insomma. E chiaramente a chi viene demandato il ministero tecnico, il riscontro non può che essere scientifico: pilastri certi sui quali potere erigere la propria tesi deduttiva. Ricerca degli elementi, individuazione dei fondamenti analitici, deduzione, descrizione, confronto: questi gli assunti in base ai quali parametrare la propria ricerca. La grafologia è essenzialmente interpretazione su base scientifica. Ma tutte le interpretazioni risultano univoche? Cosa le accomuna? In quale chiave queste possono essere lette all’insegna della omogeneità di vedute?

Quanto detto ovviamente non deve lasciare alcun tipo di scampo: la grafologia è scienza e fermi restano gli assunti derivanti dalla perizia grafica. Talvolta, i dati a nostra disposizione sono interpretabili sulla base di una proporzione: x sta a y, come a sta a b. . Non vi sono tendenze, né sono ammesse patologiche deviazioni originanti da pretestuose afferenze all’una o all’altra scuola. Tutti gli insegnamenti, poi, si uniscono, difatti, convergendo nella medesima sostanziale conclusione. Tanto vale per il civile, ovvero nell’ambito in cui si è chiamati a stabilire apocrifie o genuinità. E nel penale?

Se si tratta di attribuire una grafia ad un determinato soggetto, nessun problema, ma, visto il limite interpretativo, la grafologia può attribuire un valore in più solo come supporto. Ovvero: quali sono gli elementi grafici che possono notarsi in pejus ed essere attribuiti ad una miriade di segnali psico fisici della vittima? Quali quelli propri del carnefice?

Dall’analisi della scrittura di un killer, ad esempio, può emergere una personalità in balìa di impulsi difficilmente controllabili a causa di un’aggressività distruttiva (allunghi superiori eccedenti e tratto grafico congestionato). La grafologia non può dire che la scrittura di una persona appartenga ad un orco, però può preventivamente diagnosticare lo stato di disordine psichico e, per l’effetto, il rischio. Il tumulto del gesto grafico, conferito magari dalla confusione di segni o andamenti, manifesta figure in preda a un disagio interiore, con indicatori di difficoltà ad addomesticare la propria efferatezza.

E la vittima che si presume tale o, meglio, che sa di poter diventare prima o poi tale? Irrimediabili segni scritturali di minutezza o diminuzione di tare e dimensioni potrebbero manifestare la modalità (e la minima misura) in base alla quale ci si percepisce, se la propria persona si assume gravemente compromessa, nell’alveo del proprio timore o delle proprie introiettate minime attribuzioni di ansia o disistima.

Sarebbe interessante analizzare la grafia delle donne che sentono che saranno travolte, prima o poi, da un atto di violenza. O anche quella di personaggi come Navalny, ad esempio nei giorni trascorsi in cella prossimi alla propria fine. Naturalmente: ogni vittima è tale perché risultante da una storia diversa e non è possibile tracciare un unico dato, un fil rouge del meccanismo di annichilimento. E poi: si può restare vittima, pur conservando spavalderia o dignità. Ma indubbiamente restano sottesi ad ogni espressione analitica i gesti di chi sa che è vicino alla fine.

Ogni cosa da contestualizzare, orbene: ciascun elemento da considerarsi nella propria singolarità o particolarità in costante raffronto-confronto con altri, allo stesso modo compromessi. Nulla, di per sé, allora, può essere considerato allarmante; alcun gesto grafico può, contrariis reiectis, risultare oggetto di attenzione solo in quanto tale. Tutto da rifinire in una ottica aperta, a riprova del carattere aggressivo, flebile, inconsulto, debole o altro che sia.

Ancora una volta la Grafologia, dunque, si pone come modo di riassunzione, specchio della verità, cartina al tornasole, prova della prova, indizio vitale, punto cruciale per la rappresentazione di una tesi che sa di realtà, verità, obiettività.

Marzo 2024

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